Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato
e  difeso  dalla  Avvocatura  generale  dello  Stato  presso  cui  e'
domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
    Contro regione Campania, in persona del legale rappresentante pro
tempore  per  la  declaratoria   di   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 1, commi: 49 lett. a), e), f), g), i) ed l);  72;  88;  89;
93; 104; 105 e 108 della legge della regione Campania  n.  16  del  7
agosto 2014, recante «Interventi di rilancio e sviluppo dell'economia
regionale  nonche'  di  carattere   ordinamentale   e   organizzativo
(collegato alla legge di stabilita' regionale 2014)». 
1) Quanto all'art.  1,  comma  49,  lett.  a),  f),  g),  i)  ed  l):
violazione dell'art. 117, comma 3 della Costituzione. 
    Le norme in epigrafe prevedono: «Alla legge  regionale  16  marzo
1986, n. 11 (Norme per la disciplina  delle  attivita'  professionali
turistiche) sono apportate le seguenti modificazioni: a) alla lettera
i) del secondo comma dell'art. 2 e' aggiunta la seguente: «i-bis)  E'
guida archeologica subacquea chi accompagna singole persone o  gruppi
di persone nella esplorazione di fondali marini o lacustri.»; ...  e)
al terzo comma dell'art. 3 dopo le parole «della presente legge» sono
aggiunte le seguenti: «oppure, per le attivita' di cui  alla  lettera
b) dell'art.  2,  vi  sia  il  riconoscimento  presso  la  Camera  di
commercio competente per territorio»; i) al comma 1 dell'art. 4  dopo
la parola «speleologica» e'  eliminata  la  congiunzione  «e»  ed  e'
aggiunto il segno di interpunzione «,» e dopo  le  parole  «animatore
turistico» sono aggiunte le parole «e guida archeologica  subacquea»;
g) al comma 2-ter dell'art. 4 dopo la lettera «h)» sono  aggiunte  le
lettere «i) e i-bis)»; i)  alla  fine  dell'art.  6  e'  aggiunto  il
seguente comma:  «Per  il  conseguimento  dell'abilitazione  a  guida
archeologica subacquea l'ammissione e' subordinata  al  possesso  dei
seguenti requisiti: iscrizione nei registri dei sommozzatori  con  la
qualifica di operatore tecnici sub I, II  e  III  livello  di  sub  e
istruttore guida e corso di operatore archeologico sub  con  brevetto
(otas) e corso di  operatore  tecnico  con  brevetto  (ots)»;  l)  la
lettera e) del primo comma dell'art. 6 e' abrogata. 
    1.1) In particolare, le norme di cui alle lettere a), f),  g)  ed
i) modificano la legge regionale 16 marzo 1986, n. 11 (Norme  per  la
disciplina delle attivita' professionali turistiche) disciplinando la
professione turistica di «guida archeologica subacquea». 
    In particolare: 
    la lettera  a)  aggiunge  all'elenco  delle  professioni  di  cui
all'art. 2 della legge regionale n. 11/1986 la nuova  professione  di
«guida archeologica subacquea»; 
    la lettera f) inserisce la suddetta  professione  nel  novero  di
quelle soggette ad abilitazione da parte della regione Campania; 
    la lettera g) subordina lo stabile  esercizio  della  professione
alla  conoscenza  del   patrimonio   storico,   artistico,   museale,
archeologico e naturale della regione Campania; 
    la  lettera  i)  stabilisce  i   requisiti   necessari   per   il
conseguimento dell'abilitazione allo svolgimento della professione de
qua. 
    L'art. 117, terzo comma, della Costituzione,  stabilisce  che  la
disciplina delle professioni  rientra  nella  competenza  concorrente
dello Stato ed  allo  stesso  spetta,  pertanto,  la  disciplina  dei
principi fondamentali. 
    Pertanto, come da consolidata giurisprudenza costituzionale, solo
lo Stato puo'  individuare  nuove  figure  professionali,  anche  nel
settore del turistico, restando riservata alle regioni  le  norme  di
dettaglio (cfr. in  particolare,  sentenze  nn.  222/2008,  271/2009,
132/2010, 93/2008 e 178 del 2014). 
    Considerato che  la  professione  introdotta  dalle  disposizioni
censurate non trova alcun riferimento nella legge statale, le  stesse
devono essere ritenute incostituzionali per violazione dell'art. 117,
comma 3, della Costituzione. 
    1.2) Analoghe considerazioni valgono anche per le  previsioni  di
cui alle successive lettere e)  ed  l)  del  medesimo  comma  49:  la
lettera e), che introduce una nuova modalita' di  riconoscimento  per
la  professione  di  interprete  turistico,  interviene  sul   titolo
abilitativo di una professione non (piu')  prevista  dalla  normativa
nazionale, ma solo da  quella  regionale,  e  dichiarata  illegittima
dalla Corte costituzionale con sentenza n. 132/2010. 
    Tale   disposizione,   introducendo   un'alternativa    per    il
conseguimento del suddetto  titolo  abilitativo,  viola  l'art.  117,
comma 3, della Costituzione,  che  riserva  allo  Stato  la  funzione
individuatrice della professione e la disciplina dei relativi profili
e titoli abilitativi. 
    La lettera l),  a  sua  volta,  viola  la  medesima  disposizione
costituzionale  di  cui  all'art.  117,  comma  3  Cost.  in  quanto,
abrogando uno dei requisiti previsti dalla legge n.  11/1986  per  la
partecipazione   all'esame    per    l'accertamento    dell'idoneita'
all'esercizio delle  professioni  turistiche,  invade  la  competenza
statale nell'individuazione della professione e dei relativi  profili
e titoli abilitativi. 
    Le disposizioni sopra elencate sono  dunque  incostituzionali  in
quanto non rispettano i limiti imposti dall'art. 117, comma  3  della
Costituzione in materia di professioni. 
2) Quanto all'art. 1, comma 72: violazione dell'art.  117,  commi  2,
lett. s) e comma 3, nonche' dell'art. 9 della Costituzione. 
    La  norma  in  epigrafe  cosi'  dispone:  l'art.  9  della  legge
regionale 18 novembre 2004, n. 10 (Norme sulla sanatoria degli  abusi
edilizi di cui al decreto-legge 30 settembre 2003, n.  269,  art.  32
cosi' come modificato dalla legge di conversione 24 novembre 2003, n.
326 e successive modifiche ed integrazioni) e' cosi'  modificato:  a)
al comma 1, il termine del  «31  dicembre  2006»  e'  sostituito  dal
seguente: «31 dicembre  2015»;  b)  il  comma  5  e'  sostituito  dal
seguente: «5. Le disposizioni di cui  al  presente  articolo  non  si
applicano agli abusi edilizi realizzati  sulle  aree  del  territorio
regionale sottoposte ai vincoli dell'art. 33 della legge n.  47/1985,
compresi quelli indicati specificatamente alle lettere  a),  b),  c),
d), del medesimo articolo,  solo  ed  esclusivamente  se  i  predetti
vincoli comportano l'inedificabilita'  assoluta  delle  aree  su  cui
insistono e siano stati imposti prima della  esecuzione  delle  opere
stesse». 
    2.1) Detta norma, quindi, modificando l'art. 9,  legge  regionale
n. 10/2004, alla lettera a) dispone la proroga  del  termine  per  la
definizione delle domande di sanatoria edilizia dal 31 dicembre  2006
al 31 dicembre 2015; alla lettera b),  nel  sostituire  il  comma  5,
prevede che le disposizioni del citato art. 9 non si  applicano  agli
abusi  edilizi  realizzati  sulle  aree  del   territorio   regionale
sottoposte ai vincoli previsti dall'art. 33 della  legge  n.  47/1985
«solo  ed   esclusivamente   se   i   predetti   vincoli   comportano
l'inedificabilita' assoluta delle aree su cui insistono e siano stati
imposti prima della esecuzione delle opere stesse». 
    Tale  previsione,  nel  prorogare   e   nell'attribuire   rilievo
impediente della sanatoria ai  soli  vincoli  previsti  dall'art.  33
della legge n. 47/1985 che comportino inedificabilita'  assoluta,  ha
l'effetto di ampliare l'ambito del condono edilizio, in contrasto con
le norme statali di principio in  materia,  in  violazione  dell'art.
117, comma 3 Cost. 
    La norma regionale, infatti, da un lato non contempla  i  vincoli
di inedificabilita' relativa, dall'altro non contempla  l'ipotesi  di
vincoli  -  di  inedificabilita'  assoluta  o  relativa   -   imposti
successivamente alla realizzazione dell'abuso, per i quali l'art.  32
della legge n. 47/1985 subordina la sanatoria  al  parere  favorevole
delle  amministrazioni  preposte  alla  tutela  del  vincolo  stesso,
prevedendo altresi' il silenzio-rifiuto, nel caso in  cui  il  parere
non venga rilasciato entro il termine di 180 giorni dalla richiesta. 
    Al riguardo, giova richiamare la giurisprudenza consolidata della
Corte costituzionale che, da ultimo  con  sentenza  n.  290/2009,  ha
affermato che «solo alla legge statale compete l'individuazione della
portata massima del condono edilizio straordinario (sent. n. 70/2005;
sent. n. 196/2004), sicche' la legge regionale che abbia per  effetto
di ampliare i limiti applicativi della sanatoria eccede la competenza
concorrente della regione in tema di governo del territorio». 
    2.2) La disposizione censurata viola altresi' l'art.  117,  comma
2, lettera  s),  che  attribuisce  allo  Stato  potesta'  legislativa
esclusiva in materia di  «tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema»,
nonche' l'art. 9 della Costituzione che tutela  il  paesaggio  ed  il
patrimonio storico-artistico della Nazione. 
    Sotto  il  primo  profilo,  infatti,  deve   rilevarsi   che   la
disposizione e' idonea a consentire  sanatorie  in  zone  «a  rischio
idraulico», individuate dai piani di bacino o dai piani  stralcio  di
cui alla legge n. 183/1989, le cui relative misure  di  salvaguardia,
in base alle disposizioni del decreto del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri 29  settembre  1998,  punto  3.1,  lettera  a),  possono
prevedere per tali zone l'inedificabilita' parziale. 
    Al riguardo, si evidenzia che le  prescrizioni  piu'  restrittive
contenute negli atti di  pianificazione  di  bacino  hanno  carattere
vincolante  per  le  amministrazioni  e  gli  enti  pubblici  e  sono
sovraordinate ai piani territoriali  e  ai  programmi  regionali,  ai
sensi dell'art. 65, comma 4,  5,  e  6  del  decreto  legislativo  n.
152/2006. 
    Pertanto, sotto questo aspetto la disposizione  censurata  invade
la competenza esclusiva statale in materia di  tutela  dell'ambiente,
in violazione dell'art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione. 
    Sotto un diverso profilo, si osserva altresi' che la disposizione
censurata, sub specie di proroga del termine per la definizione delle
domande di condono riferite ad abusi ultimati entro le date  previste
dalle leggi n.  47/1985  e  n.  724/1994  e  presentate  nei  termini
previsti dalle medesime, puo' di fatto tradursi in un'ammissione  dei
soggetti richiedenti ad integrare, modificare,  sviluppare  in  vario
modo  (anche  su  eventuale  sollecitazione  istruttoria  dei  comuni
procedenti)  le  medesime  domande,  in  tal  modo  determinando  una
oggettiva  condizione  di  concreta  possibilita'  che,   stante   il
lunghissimo  lasso  di  tempo  trascorso  dalla  presentazione  delle
domande originarie, siano indirettamente ammessi all'esame dei comuni
(e conseguentemente al condono) ulteriori abusi successivamente posti
in essere, quali ampliamenti, completamenti delle opere, ecc.,  senza
che le amministrazioni comunali siano - in realta' - nelle condizioni
di poter effettivamente verificare caso per caso e  distinguere  cio'
che e' stato consumato e ultimato negli anni 1983 e 1993 e cio'  che,
invece,  e'   stato   realizzato   (o   proseguito,   o   completato)
successivamente (e anche in data recente). 
    Tali conseguenze naturali della disposizione  in  esame  appaiono
pressoche' inevitabili in fatto, ed espongono i beni paesaggistici  e
storico-artistici tutelati, gia' compromessi dagli abusi edilizi,  al
pericolo di un ulteriore peggioramento del  livello  di  tutela,  con
evidente lesione dei valori protetti dall'art. 9  Cost..  Ancora,  si
ritiene   che   la   disposizione   censurata   sia    manifestamente
irragionevole e sproporzionata, posto che la mancata  disamina  delle
vecchie domande di condono da parte dei  comuni  non  fa  venir  meno
l'obbligo giuridico  degli  enti  locali  di  concludere  comunque  i
relativi procedimenti sulla  base  degli  atti  disponibili,  con  la
conseguenza che il termine introdotto dalla disposizione de  qua  non
puo' avere natura perentoria, ma solo ordinatoria o sollecitatoria. 
    A  fronte  dell'inutilita'  della  disposizione,  quindi,  appare
eccessivo e sproporzionato il pericolo di  danni  ulteriori  ai  beni
tutelati che la medesima e' idonea a generare. 
3) Quanto all'art. 1 commi 88 e 89: violazione dell'art.  117,  comma
2, lett. e) e lett. s) della Costituzione. 
    I commi 88 ed 89 della norma impugnata dispongono:  «Al  fine  di
assicurare la gestione unitaria e  l'efficientamento  delle  opere  e
infrastrutture del servizio idrico integrato ancora in gestione della
regione Campania per il loro trasferimento ai  soggetti  gestori  del
servizio idrico integrato individuati o da individuare in conformita'
alle  disposizioni  della  normativa  nazionale  e  comunitaria   del
settore, la  regione,  entro  trenta  giorni  dalla  presente  legge,
sentiti i Commissari incaricati delle attivita' di  liquidazione  dei
soppressi Enti  d'ambito  territorialmente  interessati,  con  propri
decreti adottati dall'ufficio regionale competente, individua  uno  o
piu' soggetti  gestori  del  servizio  idrico  integrato  tra  quelli
operanti nei rispettivi ambiti territoriali ottimali  di  competenza,
di cui avvalersi, previa stipula  di  apposita  convenzione,  per  la
gestione unitaria e provvisoria: a)  dei  servizi  di  captazione  ed
adduzione  della   risorsa   idrica,   riferibili   alle   fonti   di
approvvigionamento ed ai sistemi di captazione ed adduzione che  sono
gestiti dalla regione Campania alla data di entrata in  vigore  della
presente legge, anche attraverso soggetti terzi, ad esclusione  delle
fonti e dei sistemi  di  captazione  ed  adduzione  gia'  oggetto  di
concessione regionale nonche' relativi all'acquedotto ex Casmez salvo
specifiche intese finalizzate alla maggiore autonomia della  aree  di
gestione  del  servizio  idrico  integrato;   b)   dei   servizi   di
collettamento e depurazione delle acque reflue, riferibili ai sistemi
di depurazione comprensoriale ancora in gestione regionale alla  data
di entrata in vigore della presente legge, anche attraverso  soggetti
terzi, ad esclusione dei sistemi di depurazione  comprensoriale  gia'
interessati  da  interventi  di   riqualificazione,   adeguamento   e
completamento previsti nell'ambito della programmazione regionale. 
    89. La gestione provvisoria di cui al comma 88 e' disciplinata da
apposita convenzione tra la regione Campania e i gestori individuati,
che prevede l'attuazione di un piano di efficientamento di  trentasei
mesi, alla scadenza dei quali la gestione e' definitivamente affidata
ai gestori del servizio idrico integrato territorialmente competenti,
cosi' come individuati in  conformita'  alla  normativa  nazionale  e
comunitaria del settore. Nell'ambito del piano di efficientamento  e'
previsto l'utilizzo, previa stipula di nuovi contratti  di  lavoro  e
sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, del
personale impiegato alla data del 31 dicembre 2011 presso le opere  e
impianti di cui al comma 88, lettere a) e b) ai fini  delle  relative
attivita' di gestione». 
    Nel disciplinare la  gestione  provvisoria  del  servizio  idrico
integrato, si prevede, dunque, che la regione Campania,  al  fine  di
assicurare la gestione  unitaria  e  l'efficientamento  del  servizio
idrico integrato e in attesa di avviare le procedure  di  affidamento
secondo la normativa nazionale e comunitaria,  individua  con  propri
decreti uno o piu' soggetti gestori del servizio idrico, al  fine  di
provvedere alla gestione provvisoria dello stesso, previa stipula  di
una convenzione. 
    Tali  previsioni,  ponendosi  in  contrasto  con  la   disciplina
transitoria dettata dallo Stato  per  definire  in  maniera  uniforme
l'affidamento del servizio idrico  (art.  13,  comma  2  e  comma  3,
decreto-legge n. 150/2013; art. 7, comma 1, lettera i), decreto-legge
n.  133/2014,  che  modifica  l'art.  172,  decreto  legislativo   n.
152/2006), invadono la potesta' legislativa  statale  in  materia  di
tutela dell'ambiente e tutela  della  concorrenza  e  quindi  violano
l'art. 117, comma 2, lettere e) ed s) della Costituzione. 
    In particolare, l'art. 13, comma 2, del decreto-legge n. 150/2013
dispone che «La  mancata  istituzione  o  designazione  dell'ente  di
governo dell'ambito territoriale  ottimale  ai  sensi  del  comma  1,
dell'art. 3-bis  del  decreto-legge  del  13  agosto  2011,  n.  138,
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148,
ovvero la mancata deliberazione dell'affidamento entro il termine del
30 giugno 2014, comportano  l'esercizio  dei  poteri  sostitutivi  da
parte del Prefetto competente per territorio, le  cui  spese  sono  a
carico  dell'ente  inadempiente,  che   provvede   agli   adempimenti
necessari al completamento della procedura di affidamento entro il 31
dicembre 2014». 
    Il successivo comma 3 prevede, altresi', che «Il mancato rispetto
dei termini di cui ai commi  1  e  2  comporta  la  cessazione  degli
affidamenti  non  conformi  ai  requisiti  previsti  dalla  normativa
europea alla data del 31 dicembre 2014». 
    I vizi  di  legittimita'  costituzionale  evidenziati  sussistono
anche sotto un diverso profilo, ponendosi in contrasto con  l'assetto
delle competenze in materia di servizio idrico integrato definito dal
decreto legislativo n. 152/2006. 
    Il Codice dell'ambiente, infatti, prevede che «Gli  enti  locali,
attraverso  l'Autorita'  d'ambito  di  cui  all'art.  148,  comma  1,
svolgono le funzioni di organizzazione del servizio idrico integrato,
di scelta della forma di gestione, di  determinazione  e  modulazione
delle tariffe all'utenza, di affidamento della  gestione  e  relativo
controllo» (art. 142). 
    Inoltre,  rientra  nella  competenza   degli   enti   locali   la
predisposizione del Piano d'Ambito, che  costituisce  il  riferimento
essenziale per la  determinazione  della  tariffa  idrico  integrata,
nonche' per l'affidamento della gestione del  servizio  stesso  (art.
149). 
    Alla  regione  spetta,  invece  il  compito  di  individuare  (ed
eventualmente modificare) gli ambiti territoriali ottimali e la forma
giuridica organizzativa del regolatore locale (art. 147). 
    Le disposizioni censurate, attribuendo alla regione il compito di
individuare, con proprio  decreto,  i  gestori  del  servizio  idrico
competenti per la gestione provvisoria, contrastano con l'assetto  di
competenze appena  descritto.  Nonostante  l'intervenuta  abrogazione
delle AATO, infatti, non e' venuta  meno  la  competenza  degli  enti
locali in materia di regolazione, controllo e vigilanza del  servizio
idrico integrato a livello locale, competenza  che  non  puo'  essere
avocata dalla regione  solo  perche'  la  stessa  non  ha  provveduto
all'individuazione di un  soggetto  di  governo  locale  che  avrebbe
dovuto sostituire le ex autorita' d'ambito. 
4) Quanto all'art. 1  comma  93:  violazione,  sotto  altro  profilo,
dell'art. 117, comma 2, lett. e) ed s) della Costituzione. 
    La norma in rubrica testualmente prevede: «La Struttura assicura,
altresi', il raccordo tra l'amministrazione regionale e le  autorita'
di bacino per gli aspetti inerenti alla fruizione e alla gestione del
patrimonio idrico. Fermi  restando  i  poteri  di  individuazione  di
ulteriori funzioni e di organizzazione del  Presidente  della  Giunta
regionale ai sensi dell'art. 36 del Reg. n.  12/2011,  la  Struttura,
nelle  forme  di  legge  e  nel  pieno  rispetto  dei   principi   di
economicita' ed efficienza e sostenibilita', in particolare provvede:
a) alla pianificazione dei lavori per la  realizzazione  delle  opere
infrastrutturali per l'adeguamento o  il  rifacimento  delle  reti  e
degli impianti, comprese le attivita' di manutenzione, con  priorita'
per quelle destinate ad  aumentare  gli  standard  di  sicurezza,  la
tutela della salute pubblica, la sostenibilita'  ambientale  e  l'uso
efficiente delle risorse; b)  allo  svolgimento  delle  attivita'  di
competenza  della  regione  finalizzate  alla  determinazione   delle
tariffe; c) alla revisione delle concessioni in corso  alla  data  di
entrata in  vigore  della  presente  legge,  al  fine  di  perseguire
meccanismi di riequilibrio economico  e  salvaguardia  dell'interesse
pubblico; d)  alla  vigilanza  sulla  gestione  delle  reti  e  degli
impianti, nonche' al coordinamento ed al controllo  tecnico-contabile
dell'esecuzione dei contratti, anche attraverso il ricorso  a  idonee
forme di garanzia a carico  dei  concessionari;  e)  al  monitoraggio
sullo stato di attuazione degli accordi con gli  enti  pubblici  e  i
soggetti coinvolti nella gestione del ciclo  integrato  delle  acque,
anche ai fini dell'eventuale rivisitazione dei rapporti negoziali; f)
alla ricognizione ed eliminazione dei contenziosi  in  essere,  anche
mediante il ricorso  a  tecniche  di  risoluzione  alternativa  delle
dispute; g)  all'accelerazione  delle  attivita'  e  delle  procedure
finalizzate alla riscossione dei canoni di  spettanza  della  regione
connessi alla gestione della risorsa idrica  e  del  ciclo  integrato
delle acque». 
    A mente di detta norma, dunque, la Struttura di missione provvede
«...b) allo svolgimento delle attivita' di competenza  della  regione
finalizzate alla determinazione delle tariffe». 
    Cio'  contrasta  con  la  normativa   statale   che   attribuisce
all'Autorita' per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico  le
funzioni in materia di tariffe del sistema idrico integrato (art. 10,
comma 14, decreto-legge n. 70/2011; art. 21, comma 19,  decreto-legge
n. 201/2011,  art.  3,  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri 20 luglio 2012; art. 12, legge n. 481/1995). 
    Dal momento  che  tali  norme  sono  espressione  della  potesta'
legislativa statale in materia di tutela dell'ambiente e tutela della
concorrenza, come da ormai consolidata giurisprudenza costituzionale,
la disposizione impugnata viola l'art. 117, comma 2, lettere e) ed s)
della Costituzione. 
5) Quanto all'art. 1, commi 104  e  105:  violazione  dell'art.  117,
comma 1 e comma 2, lett. e) della Costituzione. 
    Il tenore testuale dei commi in rubrica e' il seguente: «104.  E'
consentita, in via eccezionale e per il tempo strettamente necessario
all'approvazione  del  piano  regionale  di  settore  previsto  dagli
articoli 38 e seguenti della legge regionale 29  luglio  2008,  n.  8
(Disciplina della ricerca ed utilizzazione  delle  acque  minerali  e
termali, delle risorse geotermiche e delle acque di  sorgente)  e  al
conseguente espletamento delle procedure di gara ad evidenza pubblica
finalizzate   all'assegnazione   delle   concessioni   del    demanio
termominerale: a) la prosecuzione, a  tutti  gli  effetti  di  legge,
delle attivita' afferenti alle  concessioni  termominerali:  1)  gia'
pervenute  a  scadenza  ed  attualmente  in  regime  di  prosecuzione
all'entrata in vigore della presente legge; 2) in vigore, ma  il  cui
termine di durata, alla data dell'entrata in  vigore  della  presente
legge, sia inferiore a quello stabilito  dall'art.  40,  comma  4-bis
della legge regionale n. 8/2008; b) l'avvio delle nuove attivita'  di
sfruttamento  del  demanio  termominerale   richiesto   prima   della
pubblicazione dei bandi relativi alle procedure di cui all'alinea del
presente comma, ancorche' la relativa istanza sia stata in precedenza
respinta. 
    105. La prosecuzione delle attivita' di cui al comma 104, lettera
a), e' consentita per un periodo di durata pari  a  quella  stabilita
dall'art. 40, comma 4-bis della  legge  regionale  n.  8/2008  ed  e'
esclusivamente subordinata alla sussistenza dei requisiti  soggettivi
previsti  dalla  legislazione  vigente,  attestati   anche   mediante
autocertificazione, da trasmettere al competente  ufficio  regionale,
unitamente   all'istanza   avente   ad   oggetto   la    prosecuzione
dell'attivita',  entro  sessanta  giorni  dalla  pubblicazione  della
legge». 
    5.1)  Il  comma  104  prevede  la  prosecuzione  delle  attivita'
afferenti alle concessioni del demanio termominerale, per un  periodo
di durata pari a quella stabilita dall'art.  40,  comma  4-bis  della
predetta legge n. 8/2008 (comma 105) («in via eccezionale  e  per  il
tempo strettamente necessario all'approvazione del piano regionale di
settore previsto dall'art. 38 e seguenti  della  legge  regionale  n.
8/2008»). 
    Tali previsioni, configurando un'ipotesi di proroga automatica di
concessioni  in  essere,  contrasta  con   gli   obblighi   derivanti
dall'ordinamento europeo, con conseguente violazione  dell'art.  117,
comma 1, della Costituzione. 
    Come  recentemente  chiarito  dalla  Corte   costituzionale   con
riferimento alle concessioni demaniali marittime (sent.  Corte  Cost.
n. 171/2013), infatti, la proroga automatica delle concessioni stride
con i principi di  non  discriminazione,  parita'  di  trattamento  e
tutela della concorrenza, sanciti dal diritto dell'Unione europea, in
particolare, con il principio di liberta'  di  stabilimento  previsto
dall'art. 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea,  che
consente ad ogni persona fisica o giuridica di  partecipare  in  modo
stabile e duraturo alla vita economica di uno Stato membro diverso da
quello di origine. 
    Prorogando ex lege le concessioni demaniali gia' esistenti, senza
l'espletamento di una procedura ad evidenza pubblica  che  garantisca
la  parita'  di  trattamento  fra  tutti  gli   operatori   economici
interessati, si  configura  sia  una  restrizione  alla  liberta'  di
stabilimento (comportando, in  particolare,  una  discriminazione  in
base al luogo di stabilimento), sia una violazione del  principio  di
concorrenza,  dal  momento  che  preclude  ai   nuovi   entranti   la
possibilita', alla  scadenza  della  concessione,  di  subentrare  al
precedente concessionario. 
    5.2) Per le ragioni suesposte, i commi 104 e 105 oltre a violare,
come detto al punto che precede, l'art. 117, comma 1, ma anche l'art.
117, comma 2, lettera e) della Costituzione, che assegna  allo  Stato
la competenza legislativa in materia di tutela della concorrenza. 
6) Quanto all'art. 1 comma 108: violazione, sotto ulteriore  profilo,
dell'art. 117, comma 2, lett. s) e comma 1 della Costituzione. 
    Il comma 108 della norma in rubrica cosi' dispone: «Gli  atti  di
concessione di avvio e prosecuzione dell'attivita' di  cui  ai  commi
precedenti sono  rilasciati  comunque  nel  rispetto  delle  seguenti
condizioni: a) siano avviate da parte dei soggetti interessati, entro
120 giorni dalla data di pubblicazione sul Bollettino ufficiale della
regione Campania della presente legge, le  procedure  previste  dalle
norme vigenti in materia  di  valutazione  di  impatto  ambientale  e
valutazione di incidenza contenute nel Reg. n. 1/2010 e nel  Reg.  n.
2/2010 e nella normativa in materia; se le richiamate  procedure  non
risultassero avviate entro il predetto termine, il competente settore
comunica all'interessato l'impossibilita' di proseguire  l'attivita';
b) non intervengano cause  di  cessazione,  revoca  o  decadenza  per
sopravvenute  ragioni  di  interesse  pubblico  oppure  carenza   dei
presupposti richiesti dalla legge per il rilascio o l'esercizio delle
concessioni, ne' alcuna causa di  cessazione  prevista  dall'art.  14
della legge regionale n. 8/2008; c) siano rispettati gli  obblighi  e
le prescrizioni previsti dalla normativa  vigente  e  dai  rispettivi
provvedimenti concessori». 
    6.1) L'art. 1, comma  108,  nel  subordinare  la  prosecuzione  e
l'avvio delle concessioni termominerali dei commi precedenti al  solo
avvio della procedura di Valutazione di Impatto  Ambientale  e  della
Valutazione di Incidenza (invece che alla conclusione delle  stesse),
contrasta con la normativa nazionale  afferente  alla  materia  della
«tutela dell'ambiente e dell'ecosistema» per la quale lo Stato ha  la
competenza esclusiva: la disposizione in esame viola, quindi,  l'art.
117, comma 2, lett. s), della Costituzione. 
    6.2) Inoltre, considerando che la normativa  statale  violata  e'
attuativa di  direttive  europee,  la  disposizione  regionale  viola
altresi' l'art. 117, comma 1, della Costituzione. 
    Nello specifico, la norma contrasta  con  quanto  disposto  dalla
direttiva  2011/92/UE,  concernente   la   valutazione   dell'impatto
ambientale  di  determinati  progetti  pubblici   e   privati.   Tale
direttiva, all'art. 2, comma 1, obbliga gli Stati membri a sottoporre
a VIA i progetti per i quali  si  prevede  un  significativo  impatto
ambientale «prima del rilascio dell'autorizzazione».  Tale  norma  e'
stata recepita con l'art. 26, decreto legislativo n. 152/2006, che al
comma 5 dispone che «in nessun caso puo' farsi luogo  all'inizio  dei
lavori senza che sia intervenuto il provvedimento di  valutazione  di
impatto ambientale». L'acquisizione della valutazione di incidenza e'
configurata come atto  preventivo  all'avvio  delle  attivita'  anche
dall'art. 5, comma 8, decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
357/97 e dal par. 6.3 della Direttiva 92/43/CEE. 
    Di  conseguenza,  la  disposizione  in  esame,   prevedendo   una
procedura  diversa  e  di  minor  tutela  ambientale  rispetto   alle
disposizioni nazionali ed europee richiamate, viola l'art. 117, commi
l e 2 lettera s) della Costituzione.